Stampe all'olio


di Paolo Barbaro


Tra le motivazioni che possono spingere un fotografo a intraprendere l'apprendimento, poi l'"allenamento" (manualità e metodo) e poi la pratica delle tecniche fotografiche non argentiche, dette un po' impropriamente "Tecniche Antiche"; in fotografia, probabilmente c'è un po' la vocazione del falsario.
Sappiamo che c'è una lunga linea di ricerca, che riguarda la falsificazione nell'ambito delle immagini (fino all'ambito dada di Duchamp o a quello concettuale di Paolini, che scoprendo le carte della finzione, spesso usando la fotografia, mette in discussione gli assunti realisti e automatici della rappresentazione) e anche una linea di pensiero epistemologico (Fayerabend), per cui la falsificazione è necessaria, quanto la verifica per determinare la correttezza di un'ipotesi scientifica.
Una qualche vocazione al falso, di questo tipo, sembra proprio di vederla dietro alle stampe all'olio di Rosario Tinnirello.
Il nostro Autore è nato nel 1952 a Palermo. Quando inizia a fotografare sceglie il bianco e nero, e poi subito si dedica alla gomma bicromatata, che gli consente di ottenere fotografie irripetibili (è impossibile una esatta replica di una stampa alla gomma) e di sondare a fondo un immaginario pittorialista; segue anche corsi di Storia della Fotografia con Pierangelo Cavanna, presso l'Istituto Bergogna di Vercelli e parallelamente approfondisce la pratica dei procedimenti di stampa "antichi" con Roberto Lagrasta del Gruppo Rodolfo Namias di Parma.

 

Ora, il problema del pittorialismo nelle stampe all'olio di Tinnirello è nel fatto che la sua fotografia non imita la pittura, come accadeva nel ventennio a cavallo tra Otto e Novecento nei pittorialisti "storici" (da Pujo a Morpurgo a Ray), ma sembra riferirsi alla fotografia delle origini, quando il pittorialismo era un problema ancora sullo sfondo e il rapporto tra fotografia e pittura era giocato all'interno di un universo di segni tutto sommato abbastanza omogeneo.
Le fotografie di Tinnirello, insomma, somigliano molto (al limite del disorientante déjà vu) a immagini di Talbot, di Hill e Adamson, di Bayard, probabilmente viste e pensate interessandosi di storia della fotografia, più che alle fotografie pittorialiste del tempo di Camera Work o di Il Progresso Fotografico, di quasi mezzo secolo posteriori collocate nel tempo delle secessioni dell'imminente rivolgimento delle avanguardie.

Tornando alla vocazione falsaria o almeno mimetica di queste fotografie, quindi, va notato che Tinnirello costruisce immagini, che, una volta riprodotte in un manuale di storia della fotografia, potrebbero tranquillamente essere scambiate per degli inediti calotipi, ma vedendo l'originale sono esplicitamente tutt'altra cosa: stampe all'olio, magari fatto un millennio successivo; la "sintassi" delle immagini stesse (di queste immagini orgogliosamente realizzate manualmente, una per una in modo paganinianamente irripetibile) è ricavata e vive delle immagini replicate delle centinaia di copie dei libri di Netthall, Scharf, Zannier, Fizeau...
Va, quindi tenuto presente che il senso di queste immagini uniche, di questi prodotti artigianali, è inestricabilmente legato ad un ambito di immagini riprodotte: come per l'epistemologo Fayerabend, come per il falsario Duchamp, la falsificazione, l'imitazione che, altrove, sposta i dati di un mitico originale (di una mitica verità) verifica e rimette in gioco i limiti di quella verità e di quella storia.